Luigi Dania - Catalogo della mostra di Firenze, 1973

Piero Ceccaroni, seguendo gli insegnamenti dello zio Rodolfo Ceccaroni, fin dalle prime esperienze legate alla poetica naive, e segnatamente al Doganiere Rousseau, Camille Bombois, Luise Vivin, ha scelto la difficile strada del racconto.

Memorie, fiabe, eventi trascorsi, accadimenti del nostro tempo, sono proposti con arguzia, sottile ironia, rara intensità espressiva, attraverso una elaborazione lenta, metodica.

La sobrietà e finezza di esecuzione richiamano il primo Quattrocento. I suoi personaggi semplici e dismessi, entro quinte sapientemente disposte, ci narrano la loro storia in un continuum fantasioso e surreale.

La sua cultura è complessa: non gli sono innote le predelle del Trecento e del Quattrocento con le vite dei santi, beati, anacoreti, ama i Breughel del Kunsthistorisches Museum di Vienna e il Bosch meno terrificante, si sofferma su alcuni incisori tedeschi del Cinquecento, su Max Chagall che a Parigi negli anni venti andava delineando le fiabe che gli erano state raccontate dal vecchio zio a Vitebsk, ammira l’algida solitudine di Yves Tanguy e Renè Magritte.

Di frequente la realtà sospesa tra sogno e fantasia aquista valore di simbolo.