Franco Miele - Catalogo della mostra di Roma,  1979

Un estremo rigore e una raccolta emotività contraddistinguono allo stesso tempo la direzione di ricerca di Piero Ceccaroni, la cui opera può collocarsi in un’area singolare, ove non esiste soluzione di continuità tra ceramica e pittura.

Il materiale che l’artista adopera per manifestarsi a pieno nella concretezza dei mezzi espressivi non è scelto casualmente, ma in funzione dell’esigenza e della necessità di “mettere a fuoco”, nell’ambito di una coerente “resa” tecnico-esecutiva, i moduli di una specifica visione.

La quale, per l’appunto, ha le sue radici in una realtà per così dire sognata e che via via prende quota in ampie e levigate “strutturazioni”.

La linearità del segno mira a costruire composizioni che solo esteriormente sono di tipo geometrico.

Ad un’attenta osservazione ci si accorge infatti che il segno stesso, nel delimitare i collegamenti da zona a zona e le concatenazioni dei piani, rende più chiaro il rapporto tonale tra le diverse stesure cromatiche varianti di bianchi madreperlacei ai grigi argentei, dai pallidi gialli ai rossi soffusi, dai tenui cerulei ai verdi aciduli ai bruni incupiti.

Il risultato di questa nitida, e pur sobria, “orchestrazione” è un mondo imaginifico, ove figure e animali esotici o proiezioni di nature morte sembrano rivolgersi verso cieli eterei, universi lunari, pianeti al di fuori del nostro sistema solare.

Le caverne e i crateri, che affiorano da una sorta di cosmo surreale, risultano avvolti in un’atmosfera di poetico incantamento, che si risolve in un sottinteso invito al raccoglimento e alla contemplazione.

Un silenzio “evocativo”, che si fa sottile e profondo, si dispiega altresì tra brocche e calici, libri e fiori distribuiti in armonica disposizione tra gli spazi che scandiscono squarci di interni, sequenze di case, angolazioni di paesaggi in una prospettiva a volte quasi ribaltata.

Qualche scena d’assieme, anche per il richiamo a minute annotazioni o a simboli che sembrano tratti dall’alchimia o dalle speculazioni sulla magia, ci riporta alla memoria il clima per certi aspetti “visionario” così caro ai pittori fiamminghi, come Hieronymus Bosch e Brueghel “il vecchio”.

In tante opere di Piero Ceccaroni aleggia infatti un senso di nascosta inquietudine, del tutto spirituale, che palpita nei ragionati “equilibri” chiaroscurali, come per indicarci che la rigida simmetria delle parti del tutto sia puramente illusoria.

Si avverte così l’ansia dell’artista che dall’apparenza vuole come trapassare nella sostanza delle cose, per scavare nel fondo dell’umana coscienza.

Le formelle o i riquadri, che nelle sagome delle mattonelle danno vita al dipinto vero e proprio, non hanno nulla di frammentario, né incidono minimanente sulla “unitarietà” della rappresentazione, la quale ha modo di affermarsi in una compattezza stilistica che riflette contemporaneamente in una unica essenzialità sia l’eleganza del motivo sia la preziosità dei colori.

Il valore artigianale, che consente a Piero Ceccaroni di addivenire ad accorte e limpide fatture, non prende quindi mai il sopravvento sul significato della raffigurazione stessa, che di conseguenza si delinea in un armonico accordo tra forme e contenuti.

Abbiamo così la sintesi di un pieno travasarsi della fantasia nel processo costitutivo di queste autentiche pitture in ceramica, che vivono in un’autonoma dimensione ricca di liriche effusioni: di aperture impercettibili in un impianto pur scrupolosamente elaborato.