Gian Carlo Bojani - Da Fatti di ceramica nelle Marche: dal Trecento al Novecento , Milano 1997, p. 25
Nello studiolo del suo palazzo di Recanati, come un antico amanuense, come un miniaturista, su supporti non cartacei ma di terraglia – piastrelle per l’edilizia adatte alla sua pittura -, egli inizia il suo diario dipinto nell’estrinsecazione di uno spazio mentale dove confluiscono con struggente e persino ossessivo senso della natura, una ricerca dell’ordine e della simmetria e, insieme, una costruzione ininterrotta di meandri e labirinti perseguiti con algida intensione irrazionale e insieme con trattenuta, discreta emotività.
Con lui è come trovarsi smarriti nei giochi dei giardini all’italiana, giochi di infanzia, emozionati e spauriti e pur fiduciosi di uscire dai labirinti… E c’è in essi, in questi paesaggi, come uno scorrere musicale, pentagrammi della memoria dove il tempo continuamente si confonde, procede e ritorna e s’ avvia, dove tutto è eternamente presente e tutto appare come fuori dal tempo.